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Licenze di polizia: giudizio di affidabilità, parentele e rapporti.

In assenza di ulteriori circostanze, l’affidabilità del richiedente non può essere esclusa per il semplice legame di parentela con soggetti gravati da precedenti penali o di polizia.

Il Consiglio di Stato, Sez. III, con Sentenza n. 923 del 26 gennaio 2023, torna sulla formulazione del giudizio di “affidabilità” – affidato all’Autorità di Pubblica Sicurezza – di un soggetto che voglia detenere armi e sulla sua esclusione in relazione alle frequentazioni o parentele dello stesso.

Come più volte confermato dalla giurisprudenza prevalente, il giudizio di non affidabilità del soggetto in tema di armi e autorizzazioni di polizia è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma a situazioni genericamente non ascrivibili a buona condotta. A tal fine l’autorità amministrativa di Pubblica Sicurezza può valorizzare nella loro oggettività sia fatti di reato, sia vicende e situazioni personali che non assumono alcuna rilevanza penale.

Tra queste “vicende e situazioni personali”, spesso assumono grande rilievo – sia in fase di primo rilascio che in fase di rinnovo di licenze di polizia già possedute – le frequentazioni e le relazioni del soggetto richiedente.

Il fatto

Tizio richiede il porto di fucile per uso caccia.

La Questura della sua città respinge la richiesta, valorizzando un procedimento penale a carico di Caio e il rapporto di convivenza con Tizio (convivenza – come si vedrà – risalente ad un periodo precedente rispetto al momento della valutazione della richiesta inoltrata da Tizio, e ormai non più in essere).

Tizio propone appello al TAR Calabria per l’annullamento del provvedimento di diniego di rilascio di porto d’armi, e il TAR accoglie il suo ricorso.

Il Ministero dell’Interno impugna la sentenza favorevole a Tizio, deducendo il vizio di violazione di legge in relazione agli articoli 39, 11 e 43, R.D. n. 773 del 1931 (TULPS).

A detta del Ministero (difeso dall’Avvocatura dello Stato), il richiedente aveva indicato il rapporto di convivenza nella sua istanza di rilascio del PDA, e l’Amministrazione non aveva ritenuto necessario disporre ulteriori controlli sull’effettività della situazione. Inoltre, sempre secondo l’Avvocatura dello Stato, anche a voler prescindere dalla effettiva convivenza tra Tizio e Caio, sarebbe sufficiente a legittimare il diniego anche la sola effettività del rapporto tra i predetti (mai confutata né in giudizio né in sede amministrativa), oltre alla gravità della minaccia contestata a Caio in primo grado.

Anche se è cessata la convivenza, dunque, a detta dell’Avvocatura dello Stato basta il solo rapporto tra il richiedente di una licenza di polizia e un soggetto imputato del reato di minaccia per far ritenere il richiedente “inaffidabile” ai fini del rilascio.

La vicenda approda quindi in Consiglio di Stato, il quale darà ragione a Tizio, confermando la sentenza a lui favorevole, ritenendo che la prognosi inferenziale compiuta dall’Amministrazione sia stata carente sotto il profilo istruttorio-motivazionale e del rispetto dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa.

Il ragionamento del Consiglio di Stato

I giudici hanno innanzitutto richiamato il consolidato orientamento per cui, ai fini della valutazione di affidabilità dell’aspirante al titolo autorizzativo, assume rilievo la frequentazione di persone gravate da procedimenti penali e di polizia, atteso che essa può dar luogo al rischio che l’arma sia appresa da questi ultimi e venga impropriamente utilizzata.

Tale valutazione viene confermata di per sé come ragionevole, perché è idealmente corretto evitare che soggetti pregiudicati per gravi reati frequentino chi porti con sé armi (ex multis Consiglio di Stato, sez. III, n. 4242/2016).

Uno degli ulteriori elementi che concorre alla suddetta valutazione di affidabilità è inoltre il contesto socio-familiare dell’istante, ben potendo il diniego giustificarsi per una situazione che non riguarda direttamente il titolare delle armi, bensì un terzo soggetto verso cui sussistono fondate ragioni di sospetto.

In vicende precedenti, da una parte si è ritenuto che il mero legame di parentela possa giustificare il diniego del porto d’armi laddove un parente del titolare della licenza (o del richiedente un nuovo titolo di p.s.) abbia a carico precedenti penali di particolare gravità e disvalore (es. membri della criminalità organizzata o imputati/condannati per altri gravi reati); dall’altra, in altre situazioni si è ritenuto che il rapporto di convivenza con soggetti o parenti pregiudicati e/o gravati da precedenti di polizia“possa giustificare di per sé solo il diniego o la revoca del porto d’armi, atteso che il legame familiare e la convivenza comportano sempre reciproci condizionamenti o tolleranze, determinando il pericolo che vi siano occasioni per l’utilizzo indebito dell’arma (Consiglio di Stato, sez. III, n. 3601/2016).

Tuttavia, nel caso di specie il provvedimento di diniego emesso dalla Questura (e impugnato da Tizio) aveva posto a fondamento del giudizio di inaffidabilità il rapporto di convivenza tra Tizio e Caio, nei cui confronti grava un procedimento penale per il reato di minaccia.

Tizio in primo grado ha documentato di risiedere ad un indirizzo diverso e in un comune differente da quello di Caio, a partire da ben 2 anni prima della presentazione dell’istanza per il rilascio del porto di fucile, e nessun altro elemento è stato valorizzato dal Questore al fine di giustificare il diniego.

Inoltre, non è stata dimostrata l’abituale frequentazione tra i soggetti coinvolti, né il provvedimento ha fornito motivazioni in ordine alla particolare gravità o disvalore del fatto di reato contestato a Caio.

Secondo il Consiglio di Stato, dunque, l’Amministrazione avrebbe errato a non valutare più attentamente due elementi a sostegno del giudizio di affidabilità del soggetto richiedente:

  1. la non convivenza effettiva tra l’aspirante al titolo autorizzativo e il parente gravato da procedimento penale;
  2. l’assenza di pregiudizi in capo al destinatario del provvedimento.

Conclusioni

Il Consiglio di Stato ha dunque ritenuto che deve “escludersi che il semplice legame di parentela, in assenza di ulteriori circostanze, possa da solo costituire un elemento valido e significativo ai fini della formulazione del giudizio probabilistico di non affidabilità del soggetto destinatario del provvedimento di diniego che, per quanto connotato da ampia discrezionalità, deve pur sempre essere caratterizzato da logicità e ragionevolezza”.