Il furto di corrente elettrica giustifica il divieto di detenzione di armi e munizioni e il diniego del rinnovo della licenza di porto d’armi.

Consiglio di Stato, Sez. III, Sentenza 19/04/2023, n. 3975 – Breve commento

“In tema di licenza al porto d’armi o alla detenzione, poiché la valutazione sull’affidabilità del soggetto nel corretto uso dell’arma corrisponde ad un interesse generale primario che è quello della tutela della sicurezza e della pubblica incolumità, appare evidente che, nell’ambito di una valutazione complessiva dei vari profili della posizione soggettiva del richiedente, la circostanza che questi non abbia conservato una condotta di vita indiscutibilmente virtuosa, irreprensibile e immune da censure, costituisce, di per sé stessa, ragione idonea a sostegno di un giudizio di non affidabilità.”

La vicenda in breve

  1. Tizio presenta richiesta di rinnovo del porto d’armi per uso caccia.
  2. La Questura di Genova segnala alla Prefettura che il richiedente è stato condannato per furto di energia elettrica, falsando la registrazione dei consumi attraverso l’apposizione di un magnete sul contatore.
  3. Di conseguenza, viene avviato un procedimento amministrativo per il divieto di detenzione di armi, poiché il requisito dell’affidabilità necessario per detenere armi sarebbe venuto meno.
  4. Tizio si difende, affermando di aver fatto opposizione al decreto di condanna e di aver superato con successo la messa alla prova. Sostiene che il reato di furto di energia elettrica non incide sulla sua affidabilità nell’uso delle armi.
  5. Nonostante ciò, la Prefettura e la Questura di Genova emettono il divieto di detenzione di armi e negano il rinnovo del porto di fucile.
  6. Tizio presenta quindi ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria e il ricorso viene accolto, annullando i provvedimenti impugnati. Il tribunale ha ritenuto che il reato contestato non fosse significativo del pericolo di abuso delle armi e ha criticato la motivazione generica e assertiva degli atti.
  7. Il Ministero dell’Interno presenta dunque appello chiedendo la riforma della decisione del TAR. Sostiene che la condotta del richiedente, manifestatasi in occasione del reato di furto di energia, indica una personalità incline all’inosservanza delle leggi e dei regolamenti, giustificando la privazione delle armi.
  8. La causa approda quindi al Consiglio di Stato, che accoglie il ricorso presentato dal Ministero dell’Interno e conferma il divieto di detenzione armi emesso dalla Prefettura.

Le motivazioni

La sentenza riguarda una controversia relativa ai provvedimenti presi dalla Prefettura e dalla Questura di Genova riguardanti il divieto di detenzione di armi, munizioni e materiali esplosivi, nonché il rifiuto di rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia a un individuo che era stato oggetto di un decreto penale di condanna per furto di energia elettrica.

In un primo momento il richiedente ha visto riconosciute le sue ragioni dal T.A.R. competente.

Il Ministero dell’Interno ha però presentato ricorso, sostenendo la violazione dell’articolo 29 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (T.U.L.P.S.); dall’accertamento di tale violazione discende il potere del Prefetto di vietare la detenzione di armi a persone considerate in grado di abusarne.

Il Min. Interno ha sostenuto che la sentenza del primo giudice ha erroneamente ritenuto che il reato commesso dal richiedente (furto di energia elettrica) non fosse significativo del pericolo di abuso delle armi, perché estraneo al contesto delle armi (appunto) e non sintomatico di una personalità aggressiva o violenta. Al contrario, secondo il Ministero il comportamento del soggetto dimostrerebbe una tendenza all’inosservanza delle leggi e dei regolamenti, costituendo dunque sintomaticamente il presupposto per ritenerlo inaffidabile anche nell’uso delle armi.

L’appello è stato accolto dal Consiglio di Stato. I giudici amministrativi hanno sottolineato che le autorizzazioni di polizia per il possesso di armi sono basate innanzitutto sul principio dell’assenza di precedenti penali al momento del rilascio e durante la detenzione. L’obiettivo è evitare che le autorizzazioni vengano concesse a individui che, a causa dei loro comportamenti passati, mostrino scarsa affidabilità nel rispetto delle regole e quindi nell’uso corretto delle armi, potendo costituire un pericolo per la sicurezza pubblica.

La scarsa affidabilità – inoltre – può essere valutata dall’Autorità amministrativa non solo valutando la presenza di precedenti penali specifici, ma considerando altresì l’intera personalità del soggetto, la sua storia di vita e le possibili evoluzioni future. In questa valutazione, l’Amministrazione può considerare anche situazioni non rilevanti penalmente ma indicative di un comportamento non irreprensibile.

Nel caso specifico, il richiedente è stato condannato per furto di energia elettrica, un reato di minima gravità ma che indica un mancato rispetto delle regole di convivenza civile e dei diritti altrui. Questo comportamento ha portato l’Autorità di pubblica sicurezza a valutare negativamente l’affidabilità del richiedente per il possesso e il porto d’armi, a causa della sua condotta che sarebbe sintomatica di una personalità non conforme alle regole e ai principi posti a tutela della sicurezza pubblica.

Secondo i giudici l’amministrazione ha quindi valutato in modo discrezionale ma non irragionevole la possibilità di un uso distorto delle armi da parte del soggetto in questione, senza la necessità di ulteriori motivazioni riguardo alla sua pericolosità sociale.

Il Consiglio di Stato ha richiamato, ancora una volta, l’orientamento espresso decine di volte dalla Corte Costituzionale, la quale ha stabilito che non esistono posizioni di diritto soggettivo per il possesso e il porto d’armi, e tali situazioni sono eccezioni al divieto generale di portare armi.

Infine, una delle argomentazioni difensive proposte dal richiedente, secondo cui non era a conoscenza dell’apposizione di un magnete sul suo contatore di energia elettrica, non elimina il requisito di inaffidabilità, poiché indica una negligenza nella custodia dei propri beni e una scarsa diligenza in generale. A maggior ragione deve dunque ritenersi ragionevole la valutazione dell’Autorità di p.s. circa il fatto che il richiedente non sia del tutto affidabile anche nell’uso delle armi, considerando rilevante la sua superficialità nella custodia dei suoi beni, ivi incluse le armi, e nella mancanza di assicurazioni circa il possibile furto delle stesse.